Di Chiara Sebastiani
E’ morto a Perugia, il 13 febbraio, all’età di 72 anni, Mohamed Abdel Qader, imam di Perugia e Colle Val d’Elsa, dopo aver lottato per settimane in terapia intensiva contro il covid. La notizia, immediatamente diffusa dall’Ucoii, è stata largamente ripresa dai media regionali e locali dell’Umbria che hanno tributato all’imam un unanime omaggio.
Colpisce – in un contesto come quello italiano in cui il discorso mediatico sull’islam è perlopiù unilaterale e disinformato quando non ostile – questo generale apprezzamento da cui traspare un cordoglio sincero. Si sente che una città e una regione hanno perso quella che per loro era una figura di riferimento e non vi è nulla di formale nelle parole di quanti, musulmani e non, lo ricordano.
Mohamed Abdel Qader, conosciuto anche come Abu Sumaya, non era solo noto per il suo calore umano e il suo impegno nel dialogo con tutte le componenti della società. Apparteneva anche ad una generazione e ad una componente dell’islam italiano di cui si parla pochissimo, che probabilmente è ignota alla maggior parte degli italiani, e che è lontana mille miglia dalle immagini e dalle narrazioni stereotipate dei media. Si tratta della generazione degli studenti musulmani dell’Università per Stranieri di Perugia, venuti a studiare in Italia dove si sono laureati, sono diventati stimati professionisti, hanno fondato famiglie (molti i matrimoni misti).
Di origine palestinese, Mohamed Abdel Qader si è laureato in Italia in medicina, è stato tra i fondatori dell’Unione degli Studenti Musulmani (USMI) poi dell’Unione delle Comunità islamiche in Italia (UCOII), ha vissuto per cinquant’anni a Perugia dove ha esercitato la professione di medico, dove si è impegnato incessantemente in attività di dialogo interreligiso, dove sono nati i suoi cinque figli, una delle quali, Sumaya Abdel Qader, oggi è consigliera comunale a Milano.
Lo hanno ricordato in questi giorni il sindaco di Perugia e il presidente della Provincia, il deputato del PD Matteo Mauri e il cardinale Gualtiero Bassetti. E’ una storia, la sua, rappresentativa di un islam di provincia che meriterebbe di essere meglio conosciuto, le cui comunità hanno prodotto e producono tanta ricchezza culturale, e sono spesso un vero modello di relazioni tra fedi e culture. Una storia ancora tutta da scrivere, che molti scoprono solo oggi, di cui i nostri giovani devono essere fieri.