Donna musulmana: tradizione e riscatto

Donna musulmana: tradizione e riscatto

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di Donatella Amina Salina

Vorrei partire da un fatto di cronaca, per fortuna positivo; Oumma.com il sito di riferimento dell’islam francese, ci informa che nel lontano Kerala, India del Sud, un’antica moschea, sarà aperta in questi giorni alle donne. Chi conosce anche superficialmente la storia islamica sa che le donne nell’epoca profetica erano ammesse alla preghiera nelle moschee e che, nei primi secoli dell’Islam, donne sapienti come As-Shifa bint Abdullah, insigne amministratrice pubblica ai tempi del terzo Califfo, Abidan Al Madannyyah, insigne trasmettitrice di ahadith, Amat al Wahid, Mufti del primo secolo dell’Egira, Amrah bint Abduh Rahman, giurista e trasmettitrice di ahadith, insieme a moltissime altre, insegnavano tranquillamente agli uomini il Fiqh, l’Aqida, la Scienza degli ahadith, dopo aver ricevuto da un sapiente il diploma necessario per l’insegnamento ed avere seguito delle lezioni nelle madrase. Centinaia di donne sapienti eccellevano nella medicina, nella matematica e in moltissime altre scienze, non mancavano nemmeno quelle dedite al jihad militare come Kawla bint -Azwar. Purtroppo a partire dal periodo di decadenza successivo all’invasione mongola, per molti secoli le donne furono escluse dall’insegnamento e dall’apprendimento delle scienze e alla fine segregate nelle case con il solo compito di riprodurre il genere umano.

A differenza che in Occidente le donne nel mondo islamico continuarono comunque ad avere personalità giuridica anche dopo il matrimonio, potevano cioé possedere beni materiali, cosa preclusa alle donne sposate in Italia fino al 1919.
Oggi, come allora, le donne stanno ridiventando protagoniste in tutti i rami del sapere nel mondo islamico, nonostante la misoginia ed il maschilismo di molti musulmani. La responsabilità di tale maschilismo non è affatto della religione ma della sete di potere degli uomini che hanno distorto la Shariah a loro uso e consumo, raggiungendo il monopolio della sapienza e piegando molti Ulema alle necessità politiche dei tempi. Quando la religione diventa al servizio dello Stato chi perde è la religione, soprattutto se a governare è un tiranno o addiritura uno straniero, come è avvenuto con il colonialismo.
Sono strette tra due fuochi. Da una parte chi le accusa di tradire la propria fede e dimetterla al servizio di ideologie estranee all’islam; dall’altra chi invece le vorrebbe felicemente assimilate al monoteismo del mercato, consumiste avide di potere e ancelle del sistema capitalista neoliberista.
Di fatto, attraverso le donne, l’islam, di nuovo, come ai tempi dei Salaf, ritorna un elemento di trasformazione positiva della società e dell’essere umano. Esse devono oggi ricostruire per loro e per gli uomini una libertà autentica in una società completamente diversa da quella tradizionale, senza perdere le loro caratteristiche religiose, restando irriducibili all’assimilazione all’ideologia neoliberista occidentale che alcuni attori sociali vorrebbero per sdoganare in qualche modo l’islam e renderlo innocuo ai poteri costituiti.
Non solo si chiede parità di genere ovunque sia possibile senza snaturare la complementarietà dei ruoli familiari, ma si chiede l’accesso all’interpretazione giurisprudenziale dei Testi, qualcosa che è stato dimenticato e negato per secoli; questo fa paura perché rimette in mano alle donne una sapienza a lungo monopolio esclusivo degli uomini di potere. E a differenza del femminismo laico quello islamico è a favore della ricostruzione su basi religiose dell’essere umano, la quale comporta anche una jihad interiore, chè se non cambi il tuo cuore, che tu sia uomo o donna, non raggiungerai il fine per il quale sei stato creato, che è la realizzazione individuale e dei gruppi, attraverso l’adorazione di Allah swt, in tutti i campi dell’ esistenza.