La teologia dialettica nell’Islam e i Mutaziliti

Breve introduzione al Kalām, “teologia dialettica”

kalam

di Francesco Omar Zamboni

1. Introduzione

In arabo la parola kalām (كلام) significa generalmente “discorso”. Nel contesto che ci concerne, però, indica più precisamente una forma di dialettica teologica propriamente islamica in cui si refutano le tesi avversarie e si difendono le proprie tramite argomenti logico-razionali. Kalām come “teologia dialettica”, dunque.

Insieme alla Falsafa (فلسفة), la filosofia di matrice ellenizzante, le molteplici scuole di Kalām rappresentano il maggior contributo della civilizzazione arabo-islamica alla speculazione razionale umana.

Il procedere di questo tipo di discorso teologico possiede alcuni tratti distintivi:

a) Un’intenzione dialettico-confutatoria, ovvero rivolta a provare inconsistenze e contraddizioni all’interno delle tesi altrui piuttosto che perseguire il vero in quanto tale. Con questo non vogliamo far intendere che il Kalām sia una specie di sofistica o di eristica teologica, priva di interesse per la verità di ciò di cui si va a discorrere. Nel procedere dialettico-confutatorio, però, la verità è (in quanto contenuto del dogma da difendere) qualcosa di presupposto al discorso che la difende, e il fatto che l’argomentazione arrivi a “provare” tale verità ha un carattere incidentale rispetto al fine primo del teologo dialettico, che è quello di condurre a contraddizione l’avversario1.

b) Un argomentare prevalentemente basato su dimostrazioni logico-razionali, con un limitato ricorso a prove scritturali;

c) Una forma a-sistematica, che si struttura seguendo prevalentemente criteri di prossimità tematica e generalmente non organizza gli argomenti a partire dai più semplici, elementari e fondamentali per arrivare ai più complessi, avanzati e derivati.

d) Un contenuto formato da tematiche particolari, come la creazione del Corano o la Trinità, prima che da argomenti di carattere universale come la natura del tempo o della causalità.

Si noti come tutti questi aspetti nel tempo si evolvano, tanto per influsso della Falsafa quanto per tensione interna allo stesso Kalām, che da strumento dialettico interno alla polemica fra dottrine dogmatiche tende ad assumere il carattere di “scienza” teologica la quale: a) sostituisce all’intenzione dialettico-confutatoria quella genuinamente dimostrativa, volta a perseguire il vero in quanto vero; b) mette da parte le prove scritturali, l’argomento d’autorità e l’imitazione tradizionale (taqlīd); c) assume una forma sempre più sistematica, giungendo a produrre summae onnicomprensive e strutturate secondo un ordine logico preciso; d) si rivolge a contenuti di carattere sempre più universale, che spaziano dalla fisica alla metafisica, dalla logica all’epistemologia. L’epoca d’oro del Kalām corrisponde grossomodo a quella della Falsafa – nonché della civiltà arabo-islamica in generale – e spazia grossomodo fra IX e XIV-XV secolo. Dopo questo periodo vediamo la teologia razionale musulmana declinare in dinamismo e originalità, specie in campo sunnita, per una serie di fattori che espliciteremo in conclusione del presente lavoro.

2. I Muʿtaziliti

2.1. Introduzione e cenni storici

La prima corrente teologica islamica a strutturarsi come una vera e propria “scuola” di Kalām, dotata di specifiche dottrine e modalità di discussione, sono i Muʿtaziliti (معتزلة), ovvero “coloro che si separano”2. Al di là della cattiva nomea che nei secoli successivi verrà ad acquistare all’interno del sunnismo, la scuola gioca un ruolo tanto innegabile quanto cruciale nella formazione e nello sviluppo della dialettica teologica islamica: significativo notare come, fra VIII e IX secolo, la maggior parte delle refutazioni delle dottrine non-islamiche (cristiane, manichee, zoroastriane) siano scritte da muʿtaziliti. Lo stesso stesso processo di ricezione critica della filosofia greca li vede in gioco come attori di primo piano: si pensi ad Abū al-Hudayl (m.840) in quale, riprendendo una posizione di Aristotele, afferma che in Dio Essenza e Scienza di Sé sarebbero identiche.

Le fortune del Muʿtazilismo toccano l’apice nella prima metà del IX secolo, quando sotto i califfi ʿabbāsidi al-Maʾmūn (813-833), al-Muʿtaṣim (833-842) e al-Wātiq (842-847) le tesi della scuola diventano dottrina di stato: è il periodo della miḥna (محنة, “prova”), durante il quale esponenti delle correnti tradizioniste e letteraliste vengono duramente repressi.

In epoca Buyide (934-1048) i Muʿtaziliti continuano a godere di un certo prestigio, seppur all’interno di quadro che vede il sorgere di due nuove scuole di Kalām che difendono le tesi tradizionaliste con gli strumenti della dialettica razionale: l’Ašʿarismo nel Mašriq e il Māturidismo in Transoxiana. L’arrivo al potere dei Selgiuchidi (1048-1153), meno tolleranti dei Buyidi e esplicitamente favorevoli agli Ašʿariti, segna l’inizio del declino del Muʿtazilismo, che sopravviverà in alcune aree periferiche della umma (Centr’Asia, Yemen) per scomparire definitivamente attorno al XIV-XV secolo. Ad oggi, è la teologia degli Šiʿiti Zayditi a rappresentare la “filiazione” più diretta del Muʿtazilismo classico, ma lo stesso Uṣūlismo Duodecimano ne è stato influenzato in molti aspetti: a tal riguardo ricordiamo le figure di grandi teologi razionalisti come al-Nawbaḫtī (m.924), al-Mufīd (m.1022) e Šarīf al-Murtaḍā (m.1044).

2.2. Teologia muʿtazilita

Veniamo ora a esplicitare le tesi fondamentali del pensiero muʿtazilita, comuni alla totalità dei suoi esponenti pur nella molteplicità dei punti di vista.

Teologia speculativa

I. al-Tawḥīd (التوحيد), ovvero l’ “unità di Dio”. In primo luogo implica il rifiuto di ogni antropomorfismo o assimilazione di Dio a una qualunque creatura, con la conseguente interpretazione allegorica delle espressioni “plastiche” che il Corano riferisce a Dio. Seguono alcuni “corollari” rifiutati dal sunnismo non muʿtazilita:

a) negazione degli attributi di Dio in quanto realtà distinte dalla Sua Essenza, derivante dal rifiuto di concepire l’unico Dio come qualcosa di costituito da parti, un “composto” di qualunque tipo;

b) negazione dell’eternità del Corano, in virtù del fatto che l’eternità viene considerata caratteristica unica e distintiva di Dio;

c) negazione della visione di Dio nell’aldilà, sulla base della considerazione che Egli, in quanto eterno e separato da ogni cosa, non può venire ridotto né a sostanza né ad accidente, e perciò non è possibile che sia oggetto di visione.

II. al-ʿAdl (العدل), ovvero “la giustizia di Dio”. secondo principio del Muʿtazilismo che essenzialmente pone un legame necessario fra la perfezione della natura di Dio e la giustizia-bontà dei Suoi atti. Se Dio non agisse con giustizia non sarebbe perfetto, e viceversa. Da questo principio deriva il seguente corollario, problematico per il Sunnismo “ortodosso” e rifiutato con forza dall’Ašʿarismo (che di quest’ultimo rappresenta la “coscienza filosofica”)

a) al-ṣalāḥ (الصلاح), “il bene” oppure “ciò che è giusto, adeguato”. Si tratta della tesi per cui ogni azione di Dio è, per necessità deontica3, bene. I maestri muʿtaziliti dibatteranno a lungo, tanto fra di loro che contro gli Ašʿariti, su quale portata sia da assegnare a questo principio, e se quest’ultimo venga a contraddire l’onnipotenza divina.

III. al-Iḫtiyār (الاختيار), vale a dire “la scelta”, “il libero arbitrio”. All’uomo, e soltanto all’uomo fra tutte le creature, pertiene un’autonoma capacità di produrre stati di cose e una reale possibilità di scelta per quanto concerne le proprie azioni volontarie. I Muʿtaziliti argomentano in favore di questo principio in considerazione dell’esperienza immediata che ognuno ha della propria volontà, nonché in virtù del fatto che la negazione del libero arbitrio contraddirebbe al-ʿAdl: non è giustizia punire l’uomo (o premiarlo) per atti che questi non ha la potenza di compiere volontariamente, ma che invece sarebbero creati in lui da Dio stesso.

Teologia morale

I. Oggettivismo e razionalismo morale. Bene e male non dipendono da un’arbitraria scelta divina, né da convenzioni umane, ma sono caratteristiche intrinseche e necessarie degli atti. I comandi e i divieti contenuti nella Rivelazione sono dunque un mezzo tramite il quale Dio informa gli uomini di qualità reali ontologicamente inerenti alle loro azioni; qualità che, si noti, non derivano causalmente i propri caratteri a partire dal contenuto della Rivelazione stessa, al punto che almeno una parte delle direttive morali è inferibile con pari certezza tramite la sola speculazione razionale. Inoltre, proprio perché bene e male sono qualità oggettive delle azioni, e non dipendono dall’agente, il valore morale degli atti divini è identico a quello degli atti umani.

II. Speculazione teologica come oggetto di taklīf, cioè dovere religioso imposto dalla Rivelazione.

III. al-Waʿd wa-al-Waʿīd (الوعد والوعيد), ovvero “la promessa e la minaccia”. Si tratta del rifiuto dell’idea che Dio possa compiere qualcosa di diverso rispetto a quanto promesso ai pii e minacciato agli iniqui all’interno della Rivelazione. Segue logicamente da al-Tawḥīd (nulla in Dio può cambiare, nemmeno quella parte della sua volontà che si esprime nelle promesse e nelle minacce del Corano) e da al-ʿAdl (Dio è assolutamente giusto, non può castigare i pii e premiare gli iniqui).

IV. al-Manzila bayna al-Manzilatayn (المنزلة بين المنزلتين), “la stazione intermedia”. Consiste nella tesi per cui il grave peccatore non è credente (muʾmin), dunque destinato all’inferno se non si pente, né miscredente (kāfir), e perciò non è giustificato escluderlo dalla comunità dei musulmani.

2.3. Maestri del Muʿtazilismo

Elenchiamo brevemente le figure più significative all’interno del pensiero muʿtazilita, indicandone le principali opere teologiche, se sopravvissute fino ad oggi. Sfortunatamente, il pensiero dei Muʿtaziliti più antichi è noto principalmente a partire da dossografie successive scritte da autori ašʿariti, come le Maqālāt al-Islāmiyyīn di Ašʿarī (m.934), il Farq bayna al-Firaq di Baġdādī (m.1037) e il Kitāb al-Milal wa-al-Niḥal di šahrastānī (m.1153).

Muʿtazilismo antico:

  • Muʿammar (m.830)
  • Abū al-Hudayl (m.840)
  • Ibrahīm al-Naẓẓām (m.845)
  • al-Ǧāḥiz (m.869). Kitāb al-ḥayawān (“Libro degli Animali”) – opera enciclopedica con elementi di dossografia e dialettica teologica.

Fra la fine del IX e l’inizio del X secolo vengono ad emergere in seno al Muʿtazilismo due correnti distinte. Principale nodo del contendere è quale campo d’applicazione debba avere, per Dio, la necessità deontica di agire in vista del bene – e anzi del “meglio” (aṣlaḥ) – per le creature: la Scuola di Baġdād argomenta in sostegno della tesi per cui tale necessità verrebbe in ogni ambito dell’esistenza, tanto materiale che spirituale, mentre la contrapposta Scuola di Baṣra, facendo leva sull’onnipotenza e la libertà divine, nega che Dio sia obbligato a compiere il meglio in ogni rispetto ma si limita ad affermare che Gli sia necessario aiutare l’uomo in campo spirituale, così che quest’ultimo possa adempiere ai doveri religiosi per propria consapevole scelta, e non costretto da forze esterne.

Scuola di Baġdād

  • ʿAbd al-Raḥīm al-Ḫayyāt (m.912). Kitāb al-Intiṣār wa-al-Radd ʿala ibn al-Rawandī al-Mulḥid (“Libro della vittoria e della refutazione contro l’ateo ibn al-Rawandī) – opera di dialettica teologica che risponde a una refutazione scritta da ibn al-Rawandī contro al-Ǧāḥiẓ e al-Naẓẓām
  • Abū al-Qāsim al-Kaʿbī (m.931)

Scuola di Baṣra

  • Abū ʿAlī al-Ǧubbaʾī (m.915)
  • Abū Ḥāšim al-Ǧubbaʾī (m.933)
  • ʿAbd al-Ǧabbār al-Hamadānī (m.1025) al-Muġnī fī Abwāb. Al-Tawḥīd wa-al-ʿAdl (“Ciò che è autosufficiente riguardo alle questioni dell’unicità e della giustizia divine”) – grande trattato sistematico di teologia speculativa, dal grande valore per la ricostruzione del pensiero muʿtazilita nel suo complesso; Šarḥ al-Uṣūl al-ḫamsa (“Spiegazione dei cinque principi”) – sintesi esplicativa dell’opera precedente; Maǧmūʿ fī al-Muḥīṭ bīal-Taklīf (“Summa riguardo all’ambito dell’imposizione divina”) – opera dialettico-speculativa di teologia morale Taṯbīt Dalaʾil al-Nubuwwa (“Conferma delle prove della profezia”) – opera di apologetica religiosa diretta contro Cristiani, Ebrei e Manichei.

L’ultima corrente innovativa del Muʿtazilismo risale a uno studente di ʿAbd al-Ǧabbār, Abū Ḥusayn al-Baṣrī, e deve molto del suo carattere di originalità alla ricezione critica della filosofia di Avicenna (m.1033).

  • Abū Ḥusayn al-Baṣrī (m.1044) al-Muʿtamad fī Uṣūl al-Fiqh (“Ciò che è affidabile riguardo ai principi del pensiero giurisprudenziale)
  • Ibn al-Malaḥimī al-Kwarazmī (m.1141) al-Muʿtamad fī Uṣūl al-Dīn (“Ciò che è affidabile riguardo ai principi della religione”) – trattato di teologia sistematica in cui vengono esposte e difese le tesi del maestro Tuḥfat al-Mutakallimīn fī al-Radd ʿalā al-Falāsifa (“L’inestimabile dono dei teologi dialettici nella refutazione dei filosofi ellenizzanti”).

 

Note

1 Quanto rilevato, poi, vale soltanto se ci riferiamo intenzioni esplicite del teologo dialettico. Questi infatti, nell’argomentare razionalmente in favore della verità “di fede”, non può in verità che “trasformarla” da razionalmente infondata a razionalmente fondata: da presupposto a teorema.

2 Sono state date molte interpretazioni differenti del significato di questo nome. Quella meno condizionata da pregiudizi pro- o anti-muʿtaziliti si riferisce a un evento storico, e afferma semplicemente che il fondatore del muʿtazilismo, Wāṣil ibn ʿAṭā (m.740), si sarebbe appunto “separato” da al-Ḥasan al-Baṣrī (m.728) sulla questione dello stato del grave peccatore, che al contrario di quest’ultimo Wāṣil non considerava muʾmin (مؤمن,“credente”), ma nemmeno kāfir (كافر, “miscredente”).

3 Per “necessità deontica” intendiamo qui la problematica tesi per cui ogni atto di Dio sarebbe necessario in virtù della sua natura perfettamente buona, pur Egli restando in linea di principio libero di fare il contrario. La necessità deontica, che è un tipo di necessità condizionata, si distingue dalla semplice necessità ontologica (A, dunque necessaramente B) perché presuppone contraddittoriamente un certo grado di libertà nel soggetto che pur si vuole porre come necessitato.

 

Francesco Omar Zamboni: dottorando in Filosofia presso la Scuola Normale di Pisa, specializzazione in Storia della filosofia araba; ha conseguito la laurea triennale (con lode) in Storia e civiltà orientali e la laurea magistrale (con lode) in Lingue e Culture dell’Asia e dell’Africa, entrambe presso l’Università Alma Mater Studiorum di Bologna.