LUOGHI DI CULTO IN DIALOGO SUL TERRITORIO. INIZIATIVE CONDIVISE PER LA COMUNITÀ
15 Gennaio 2020
Pastore Herbert Anders della Chiesa Evangelica Battista di Centocelle
Imam Mohamed Ben Mohamed dell’Associazione islamica Al-Huda (moschea di Centocelle)
Buonasera a tutti. Ringrazio il Prof. Saggioro e Bernadette Fraioli per questa opportunità e la platea per essere qui ad ascoltare. Soprattutto, ringrazio il mio amico, il Pastore Herbert, per l’opportunità di vivere insieme questo momento di dialogo.
Vorrei iniziare con una piccola introduzione che possa spiegare le motivazioni che spingono me, come imam, a parlare dell’Islam nella sua dimensione del dialogo.
Viviamo in un contesto, sia nazionale che internazionale, che stigmatizza fortemente l’Islam, mettendo spesso in difficoltà le comunità e i fedeli. L’Islam è percepito, nell’immaginario collettivo, come una religione violenta. Vorrei, invece, raccontarvi di come questa religione inviti al dialogo e quindi il mio intervento si fonderà sui principi e sui valori dell’Islam. Conoscere questi fondamenti aiuta a capire l’importanza del dialogo.
Come viene visto il dialogo nell’Islam? Vorrei partire da alcuni versetti del Corano. In un versetto è scritto che Dio ha onorato l’essere umano in assoluto: «In verità abbiamo onorato i figli di Adamo, li abbiamo condotti sulla terra e sul mare e abbiamo concesso loro cibo eccellente e li abbiamo fatti primeggiare su molte delle Nostre creature.»[1]. Questo versetto considera l’uomo nella sua assolutezza e non c’è esclusione alcuna. Un altro versetto: «O uomini, vi abbiamo creato da un maschio e una femmina e abbiamo fatto di voi popoli e tribù, affinché vi conosceste a vicenda. Presso Allah, il più nobile di voi è colui che più Lo teme.»[2]. L’Islam riconosce la diversità in tutti gli aspetti culturali e religiosi e ha riconosciuto il diritto di tutti a credere in ciò che si vuole, come recita il versetto: «Non c’è costrizione nelle religione: la rettitudine si è ben distinta dal traviamento.»[3]. Questo sta a significare che nessuno ha il diritto di costringere gli altri a credere. L’importante è il diritto di scegliere a cosa credere e il diritto all’essere riconosciuti: «A voi la vostra religione, a me la mia»[4]. Ma ancora: «O gente della Scrittura, addivenite ad una dichiarazione comune tra noi e voi: [e cioè] che non adoreremo altri che Allah, senza nulla associarGli, e che non prenderemo alcuni di noi come signori all’infuori di Allah». [5] La denominazione “Gente della Scrittura” si riferisce ai cristiani e gli ebrei. Il Corano invita al dialogo, che deve essere condotto con rispetto mutuale perché, come è scritto in un’altra sura: «E non dialogate con la gente della Scrittura se non con belle maniere, eccetto quelli di loro che sono ingiusti. Dite [loro]: “Crediamo in quello che è stato fatto scendere su di noi e in quello che è stato fatto scendere su di voi, il nostro Dio e il vostro sono lo stesso Dio ed è a Lui che ci sottomettiamo.»[6]. In questo versetto c’è la tendenza a far prevalere le cose comuni. Le cose in comune aiutano le persone ad avvicinarsi al diverso. Il dialogo nell’Islam è quindi da sempre un compito fondamentale a partire dal Corano. Ogni persona e ogni comunità − con tutte le diversità etniche, linguistiche e religiose − deve essere rispettata e accettata, perché provengono dalla stessa fonte. L’islam quindi non riconosce nessun tipo di razzismo.
Questa premessa era necessaria per entrare nel merito del dialogo che è un valore fondante della nostra religione. Oggi purtroppo vediamo chi invece chiama allo scontro delle civiltà e questa è un’ideologia che sta portando la società al conflitto. Invece, le religioni sono portatrici di valori di fratellanza umana in cui il rispetto e l’amore per il prossimo sono valori fondamentali. Le religioni devono essere un fattore di unione, di vicinanza e di condivisione, non motivo di scontro. Se le religioni possono svolgere il loro vero compito allora possiamo dire che avremmo fatto un grande passo avanti nella pacificazione del nostro mondo. Il dialogo non è più un lusso ma una necessità, un dovere, uno strumento per eliminare gli attriti. L’umanità è afflitta da grandi problemi e le religioni devono avvicinare, non dividere. È inammissibile pensare a guerre fondate sulla religione, è una violazione di quello che noi definiamo “coscienza di religione”.
La nostra associazione, Al-Huda, è una realtà piccola, fondata nel ’94, che fin dall’inizio ha avuto, tra i suoi obiettivi, proprio il tema del dialogo, su cui tornerò. Ci occupiamo anche di altre questioni; innanzitutto il dovere di servire la comunità musulmana. Negli anni ‘90 emigrarono in Italia molte persone di religione islamica che si trovarono a vivere la loro fede in un contesto nuovo e sconosciuto. L’apertura del luogo di culto era un obiettivo della nostra associazione per dare l’opportunità a queste persone di vivere la propria spiritualità, la propria religiosità e anche la propria cultura. Uno dei compiti dell’associazione è quello di servire la comunità musulmana, non solo da un punto di vista religioso ma anche in merito ad altri aspetti afferenti alla cultura, come, ad esempio, l’insegnamento della cultura islamica e dell’arabo. I bambini che frequentano la scuola pubblica italiana hanno la possibilità di imparare l’arabo, la lingua del Corano, il sabato e la domenica. Frequentano le lezioni non solo persone di origine e lingua araba, ma tutti i musulmani che sono desiderosi di imparare o migliorare la loro capacità di parlare in arabo. Questa attività è possibile grazie anche al rapporto con il nostro Municipio che, dal 2006, ci ha messo a disposizione uno spazio di una scuola del quartiere. Ultimamente le istituzioni locali ci hanno anche chiesto di diffondere un libricino per illustrare tutti i servizi sociali e sanitari offerti dal municipio e dal comune. Quando ci sono delle cose che interessano la comunità è il Municipio che ci coinvolge, in particolare per la divulgazione dei servizi offerti.
A livello sociale, invece, ci occupiamo delle famiglie, dei problemi generazionali che si verificano al loro interno, abbiamo a cuore l’orientamento delle persone che hanno bisogno di aiuto, da un punto di vista anche amministrativo e sanitario. Il nostro secondo obiettivo è appunto quello del dialogo, che facilita l’inserimento nella società come comunità. Su questo abbiamo lavorato molto, siamo riusciti ad essere parte integrante del tessuto sociale, sia nel nostro quartiere che a livello nazionale. Abbiamo svolto molte attività e realizzato iniziative con numerose realtà sociali. A partire dalle istituzioni locali, come Municipio e regioni, e poi a livello nazionale. Nel nostro quartiere abbiamo lavorato con associazioni culturali, sia laiche che religiose, realizzando insieme alcuni progetti. Posso elencare tantissimi momenti e vorrei iniziare con una collaborazione che mi è rimasta nel cuore, quella con il Centro Astalli. Questo rapporto è iniziato negli anni 2000 e ancora continua, attraverso le iniziative con scuole che spesso visitano la nostra moschea.
Con il Pastore Herbert ci conosciamo da qualche anno, la prima volta ci siamo incontrati in un’iniziativa organizzata dalla Banca Etica. Pensate che strano gruppo: una banca, una moschea e una chiesa. Il titolo dell’iniziativa era “Fedi e Finanza”. La visione di questa banca si basa su principi di difesa della persona umana, dello sviluppo sociale e internazionale. In particolare, in quell’occasione si parlò del valore del debito nel Corano e nella Bibbia. Poi il nostro dialogo è continuato negli anni. L’amicizia con la Chiesa Battista è iniziata già nel 2009, prima dell’arrivo del Pastore Herbert. Abbiamo approfondito il nostro rapporto con successive iniziative: l’incontro con le reciproche comunità, prima in chiesa e poi in moschea. Abbiamo partecipato insieme anche all’iniziativa Community Organizing, realtà internazionale che si occupa di cittadinanza attiva, e poi ad un’altra attività di dialogo nella Parrocchia San Felice con altre confessioni religiose del nostro quartiere. Proprio con la Parrocchia di San Felice abbiamo condiviso molte altre esperienze; ad esempio, negli ultimi due anni, abbiamo mangiato insieme durante l’Iftar nel mese di Ramadan. Noi non abbiamo la cucina, la parrocchia ci ha prestato gli spazi per cucinare l’iftar per più di 200 persone che frequentano l’Iftar in Moschea . Abbiamo organizzato anche altre iniziative e stiamo vivendo un periodo molto bello di amicizia e dialogo che in passato non avevamo mai vissuto. Questo significa che non tutte le persone sono uguali, che dipende molto anche dai singoli.
Con la Comunità Sant’Egidio abbiamo svolto parecchie attività dagli anni 90, a livello locale e nazionale, come gli incontri ad Assisi. Con il movimento dei Focolari dal 2008 partecipiamo a tante iniziative, sia organizzate da noi che organizzate da altri e in cui decidiamo di partecipare. Ad esempio, abbiamo fatto un incontro di una giornata intera sull’importanza della famiglia a partire dai testi sacri (Corano e Bibbia). Con le associazioni laiche abbiamo svolto iniziative culturali come proiezione di film, esposizioni. Mentre con le scuole e le università di Roma abbiamo avviato dei progetti con l’aiuto di alcuni professori e la partecipazione attiva degli studenti.
Se parliamo di un livello base di relazioni tra persone, queste iniziative hanno il merito di rompere i muri tra le diverse comunità e le diverse realtà. Questo è un percorso che procede lentamente e noi abbiamo il dovere di rafforzare e allargare queste piccole reti. A prescindere da queste iniziative comuni, è importante anche insegnare e trasmettere, nella moschea o nella chiesa, il valore fondamentale del buon vicinato. Il venerdì la moschea è frequentata da tante persone e noi ribadiamo spesso questi concetti. Questi valori diventano della persona e così nel vicinato durante le festività ci si scambiano gli auguri, ci si rispetta, si creano dei rapporti di amicizia. Le iniziative che si fanno tra le associazioni, tra le varie comunità rimangono ad un certo livello e i cambiamenti che si innescano sono comunque lenti. Solo divulgando e insegnando questi princìpi è possibile metterli in pratica. Il nostro lavoro si basa proprio su questo: dare l’esempio come portatori di valori. Questo garantisce la continuità. Nulla è garantito ma credo che questa dipenda anche dall’impegno quotidiano. Noi dobbiamo lavorare su ciò che unisce le persone; quanto più ci impegniamo tanto più possiamo avere speranza per il futuro. Noi siamo molto fieri di questo impegno, che è condotto dal basso ed è concreto perché produce frutti: fa conoscere le persone tra loro, le fa stare insieme creando legami di fiducia forti. Quando la gente si conosce si crea la fiducia, ci si aiuta, insieme. Questo è l’elemento più importante per una società sana. Ora mi fermo qui e lascio la parola al pastore Herbert.
Pastore Herbert Anders
Mentre venivo qui ho incontrato l’imam alla metro del Pigneto e abbiamo fatto la strada insieme. Questa nostra passeggiata è emblematica perché abbiamo camminato davvero insieme in questi anni come comunità, per conoscerci e creare la fiducia di cui Mohamed parlava prima, e siamo qui a raccontarlo oggi. Questa fiducia che ci permette di rispettare le nostre differenze; perché siamo davvero diversi. Proveniamo da culture, religioni e socializzazioni diverse.
Le ragioni per cui la nostra chiesa investe nel dialogo sono innanzitutto radicate nella teologia cristiana. Nella Bibbia, in base alla storia della creazione nel secondo capitolo della Genesi, l’essere umano viene creato e messo in relazione con gli altri esseri del Creato, la fauna e la flora, senza però trovarne soddisfazione. A ragion di questo, Dio prende l’essere umano e dalla sua costola crea una seconda parte. Queste due parti sono uguali ma anche diverse. È in queste parti in comune e in queste parti diverse che l’essere umano trova soddisfazione. L’essere umano, nella nostra teologia, trova soddisfazione nell’incontro con il diverso, sforzandosi di creare un terreno di comunione. L’incentivo per scoprire l’altro parte quindidal riconoscersi mancante, mancante di una costola, secondo la storia biblica. Quando mi riconosco mancante, o non completo, devo indagare dove posso trovare l’altra parte che manca. Ed ecco, la scoperta del prossimo, dell’essere umano che ho accanto.
Quest’approccio si caratterizza cristiano in quanto parte dal peccato. Il peccato richiede una redenzione che avviene attraverso Dio ealla quale sono condotto grazie al prossimo chemi fa riconoscere la mia mancanza. Le chiese e le persone spesso si concepiscono come autarchiche o come assolute. La storia ci insegna che le guerre per motivi religiosi erano dovute all’imposizione dell’assolutezza della propria fede. L’assolutezza di Dio è stata concepita come l’assolutezza che si manifesta dentro la propria fede e questo ha condotto allo scontro: l’assoluto non può avere competitori. Invece, il riconoscersi peccatore, o mancante, fa sì che l’altro diventa un elemento che interviene a favore della mia integrità, della mia completezza e della verità che è assoluta solo se integrata con la diversità che esiste e che ci si apre davanti. Questo concetto, che risulta essere complicato nelle mie spiegazioni, è invece un’esperienza quotidiana in ogni incontro di dialogo: la scoperta della ricchezza grazie al contributo della prospettiva dell’altro. La nostra Chiesa su questo concetto basa molte delle sue attività.
La nostra Chiesa nasce tutta italiana. L’ingresso dei battisti in Italia inizia nel 1865 dopo le leggi albertine che davano spazio anche ad altri gruppi religiosi. Si racconta che nella “presa di Roma” del 1870, insieme alle truppe garibaldine entrarono dei colportori evangelici, venditori di bibbie e altre pubblicazioni religiose. Nelle stesse truppe di Garibaldi combatterono degli evangelici. Questo per dire che il Battismo si caratterizza come una realtà italianainserita nello specifico periodo storico, anche se le sue origini si trovano in Inghilterra. Nel movimento tutto italiano, negli ultimi trent’anni è cresciuta la parte non italiana. Ora abbiamo chiese etnicamente connotate. Nella chiesa nostra almeno un 25 per cento è di origine straniera, come me che sono tedesco. Per esempio, ci sono fedeli coreani, srilankesi, rumeni
La chiesa di cui faccio parte, la Chiesa Evangelica Battista di Centocelle, è stata costruita nel ‘54 e fu conseguenziale all’opera diaconale dell’orfanotrofio, con cui la missione battista si presentò a Roma. Inizialmente ebbe sede a Monte Mario dove i primi orfani arrivarono nel 1923. Fu confiscato durante il Fascismo con l’idea di utilizzarlo per i giovani Balilla anche se poi divenne la Villa di Clara Petracci, l’amante di Mussolini. Dopo la guerra la repubblica italiana assegno la villa all’opera di Don Orione facendola diventare un centro ospedaliero, insomma la struttura che è ora. Recentemente il centro di Don Orione ci ha chiamato per dirci di aver trovato nei loro archivi materiale che testimonia dell’opera battista in quel luogo e in un bellissimo gesto ecumenico, ci hanno invitato a prenderne visione per ricostruire questa vicenda storica. L’orfanotrofio si è quindi spostato a Centocelle dove ospitava più di 120 ragazzi e ragazze. L’edificio ha avuto questa funzione fino al 2000. Ha ospitato gli orfani della Seconda Guerra Mondiale per poi diventare anche un rifugio per i figli delle famiglie numerose che non potevano permettersi di sosteneretutti i figli che avevano messo al mondo. Nell’arco degli anni, con i giovani, arrivavano anche gli anziani e quindi si costruì anche un’ala destinata a loro. Ora la struttura è interamente adibita a casa risposo. Il nostro stabile ha molti spazi: ci sono giardini e un complesso di sale aggiuntive. Avendo la benedizione di tutti questi spazi diamo la possibilità anche ad altre chiese di incontrarsi. Ospitiamo la Chiesa Avventista Peruviana, la Chiesa Battista Rumena, la New Covenant Church di rito africano e la Chiesa Nigeriana della Montagna del Fuoco e dei Miracoli. Ogni tanto nel giardino celebriamo insieme la Santa Cena, una specie di eucarestia. Nel 2017 nel nostro edificio si è trasferita la sede amministrativa dell’Unione delle Chiese Battiste. L’Unione Battista in Italia è composta da 150 chiese. Solo la sede amministrativa è centrale per tutte le chiese, mentre l’unione teologica ha bisogno di essere discussa, dibattuta durante le assemblee. In queste assemblee le decisioni teologiche prese non sono vincolanti. Il principio della Chiesa Battista è l’autonomia. L’autonomia della chiesa locale è fondamentale perché la scelta appartiene al singolo individuo. Il termine “battista” infatti sta a significare proprio questa possibilità di scelta: il battesimo viene amministrato a sole persone adulte ed ha la funzione di esprimere una libera scelta di fede. Non si è credente per l’appartenenza ad un popolo o la nascita conforme ad una particolare religione, ma solo per una scelta individuale della persona in età consapevole. Lutero dice: «Chiunque si preoccupa della propria salvezza, deve essere consapevole di ciò in cui crede e di ciò che segue, e giudicare con assoluta libertà tutti quelli che lo ammaestrano, ammaestrato nel suo cuore solo da Dio (Gv 6, 45). Infatti non sarai condannato o salvato per la dottrina vera o falsa di un altro, ma solo per la tua fede.»[7]. Lutero enfatizza la libertà individuale e di conseguenza anche la libertà delle singole comunità ecclesiali.
Come comunità offriamo dei servizi, sia a livello spirituale, sia a livello diaconale. Le offerte diaconali includono un doposcuola, che è principalmente un servizio per migranti e figli dei migranti, una scuola d’italiano e uno sportello gratuito di ascolto e aiuto psicologico grazie ad un‘associazione che si chiama Fortuna, che abilita psicoterapeuti. Abbiamo anche una cooperazione con Intersos, un’associazione umanitaria che ha un centro in via di Torre Spaccata. Collaboriamo con un negozio di commercio equo solidale, per rispondere alla necessità di un’economia diversa che ci piacerebbe sostenere come chiesa in tutti gli aspetti della vita. Siamo inseriti nel programma nazionale della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia che si chiama eco-comunità. Esso chiede la corrispondenza ad una serie di criteri ecologici, di cui fa parte anche un’etica finanziaria, per effettuare la transizione verso una chiesa “sostenibile”. Abbiamo preso un certificato di secondo livello e il passo successivo sarà prendere il diploma.
A livello spirituale, ci incontriamo per dei culti domenicali. Si tratta di momenti di acculturamento teologico. Si leggono dei passi, il predicatore li commenta, ci sono canti e preghiere. La nostra comunità vive anche di momenti di preghiera, di studio biblico per adulti e bambini e poi momenti di canto come quelli con il coro gospel.
La nostra chiesa non fa proselitismo, per me è una brutta parola. Sicuramente abbiamo una pretesa di annuncio di ciò che noi crediamo. Credo che esso sia alla base di ogni professione di fede, in quanto credere significa “aver trovato” e ogni esperienza di scoperta di senso fa scaturire una voglia e un entusiasmo di condivisione. La proposta di fede è un’offerta., La maggioranza delle persone del doposcuola, per esempio, non sono evangeliche. A me preme, oltre all’aiuto con i compiti, offrire una prospettiva di fede. L’offerta di fede è più solida, a mio avviso; l’offerta di fede rispetto al mero aiuto con i compiti è come l’insegnamento del pescare rispetto al mero dono di un pesce. Tuttavia, non vogliamo mettere in concorrenza le fedi. Questo è un dilemma e molte volte finiamo per non dire nulla della propria fede per non mancare di rispetto alla fede dell’altro. La nostra ottica all’evangelizzazione deve convivere con le sfide che pone la pratica del dialogo: poter comunicare all’altro la propria verità senza metterlo a disagio e lasciandolo libero nella scelta.
In merito al dialogo, innanzitutto all’interno del cristianesimo: questa è la settimana ecumenica. Da 150 anni le chiese cristiane si incontrano per la Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani. In questa settimana le chiese cattoliche, evangeliche e ortodosse si incontrano per celebrare insieme. Anche quest’anno la nostra chiesa parteciperà a tanti momenti di dialogo ecumenico.
Anche il dialogo interreligioso ci sta molto a cuore e nella nostra comunità crea curiosità. Crea curiosità perché non è ancora una realtà assestata. Le persone si chiedono chi sono gli altri e che cosa fanno, come si vestono, cosa cantano. Siamo felici di partecipare. Devoammettere che siamo più invitati che ospitanti, che vuol dire che rispetto ad altre fedi siamo indietro nella consapevolezza interreligiosa. Così, per esempio, rispetto agli inviti della moschea e dell’associazione Al- Huda. Come già detto stiamo collaborando, insieme, al progetto di Community Organizing di cui si parlava, che mette insieme varie realtà di un quartiere, come associazioni, istituzioni, scuole, comunità, negozi. Lo scopo è quello di coinvolgere le varie realtà in un insieme per creare quella forza necessaria che può cambiare certe situazioni sociali. Per me è stato molto significativo incontrare l’imam ad un incontro di Banca Etica, perché vuol dire che la finanza sia un elemento al centro della nostra vita quotidiana. Intervenire su questo aspetto, che a volte è percepito come distante e teorico, permette invece di declinare l’impegno anche su aspetti molto vicini a noi. Una riflessione sul tema della finanza, etica in questo caso, tocca tutti in una prospettiva dal locale al globale.
Credo che le religioni abbiano l’obiettivo di costruire fiducia, una specie di fiducia fondamentale nella vita. Il dialogo crea la fiducia., La conoscenza degli altri provoca l’auto–interrogazione. Il dialogo è un’educazione all’ascolto: appena incontro e ascolto un’altra persona divento vulnerabile, perdo la sicurezza perché mi metto di fronte allo specchio. In questo mettersi allo specchio emergono i difetti. Consapevole dei miei difetti riconosco il bisogno di colmarli nella conoscenza e nell’aiuto dell’altro.
[1] Sura XVII, AL-Isra’ (Il viaggio notturno), vv 72
[2] Sura XLIX, Al- Hujurat (Le stanze Intime), vv 13
[3] Sura II, al-Baqarah (La giovenca), vv 256
[4] Sura CIX, al-Kafirun (I Negatori), vv 6
[5] Sura III, al- Imran (La famiglia di Imran), vv 64
[6] Sura XXIX, al- Ankabut (Il Ragno), vv 46
[7] M. Lutero, Come si devono istituire i ministri della chiesa, 1523, Claudiana, Roma 1987.
Nell’ambito delle attività della “King Hamad” Chair for interreligious dialogue and peaceful coexistence, in collaborazione con Fondazione Roma Sapienza.
Incontro avvenuto all’Università La Sapienza, Nuova Aula Buonaiuti – III piano della Facoltà di Lettere e filosofia, Piazzale Aldo Moro 5